"C'erano quelli che leggevano e poi c’erano gli altri.
Ci si accorgeva subito se uno era un lettore oppure no.
Tra gli esseri umani non c’è differenza più grande."
"Per legge superiore" è prima di tutto il ritratto di un magistrato di fronte a un dilemma morale che gli fa percepire, con abbagliante chiarezza, quanto sia divenuta inadeguata l'idea di giustizia che coltiva da sempre. Roberto Doni ha più di sessant'anni, fa il sostituto procuratore a Milano, è sobrio, formale, ineccepibile. Il suo pensiero prevalente è l'ultimo passo della carriera, il più alto: ma non è un uomo di potere. Prende il privilegio come vive il resto, come cosa dovuta, inevitabile. Così Milano gli sembra operosa, prevedibile, asettica, ma in fondo straniera a tutti; la bella moglie, con la sua intelligenza, con il suo ragionevole amore, lo appaga; lo stupisce appena l'atteggiamento della figlia lontana, che gli sembra sempre un tacito, inspiegabile, rimprovero. A quest'uomo, che non s'è più incontrato con il tormento del dubbio da quando, agli inizi, dialogava con un collega coraggioso che gli fu maestro di ideali, capita una pratica di routine. Dovrà sostenere in appello l'accusa contro un muratore tunisino, ora in galera per un crimine commesso dalle parti di via Padova, un'aggressione che ha suscitato clamore di giornali e proteste popolari.